Lavoro by Stefano Massini

Lavoro by Stefano Massini

autore:Stefano, Massini [Massini, Stefano]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Linguistica, Sociologia, Antropologia culturale, Voci
ISBN: 9788815328717
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2016-09-14T22:00:00+00:00


Dr. Jekyll e Mr. Hyde

Ma perché il comune senso del lavoro si è così squalificato? Dove nasce questa sensazione di letterale sfasamento? Mille potrebbero essere le risposte. Fra queste, mi piace pensare all’effetto collaterale di un boom. Il sistema è passato troppo rapidamente dalla claustrofobia dei piccoli distretti a una paradossale agorafobia su scala planetaria. Zygmunt Bauman aveva già preconizzato, quasi venti anni fa, le conseguenze nefaste di un’apparente espansione trionfale[1]: il mercato del lavoro è riuscito a cavalcare l’onda della rete telematica, ha visto crollare le proprie barriere, ha puntato all’orizzonte vasto vincendo la scommessa, in altre parole si è talmente ampliato da risultare troppo esteso per essere controllato. Passata nel tempo di una generazione da una dimensione locale a una sovranazionale e quindi extracontinentale, la sintassi del lavoro ha perso la sua grammatica umana. Il divario fra le richieste del sistema-lavoro e la possibilità di attuazione dei suoi adepti si è incrementato sempre più, traducendosi in una forbice rischiosa, ulteriormente complicata da una babele di contratti carenti di tutele. La flessibilità è divenuta dunque sinonimo di «precarietà», mentre i posti di lavoro – intendo quelli finalmente dotati di diritti dopo anni di battaglie laburiste – hanno iniziato a crollare a favore della rampante manodopera emergente, priva di welfare e quindi più competitiva. In questo suo crescere esponenziale, il «lavoro» è divenuto molesto ai lavoratori, inducendoli prima allo scoramento, poi alla resa. Mi hanno colpito i dati di un recente sondaggio (Demos & Pi) secondo il quale la nostra fiducia nelle «opportunità di lavoro» è scesa in picchiata, passando in soli otto anni da quasi il 39% al 22. In quei 17 punti percentuali c’è tutta la mutazione della parola «lavoro», il suo passare da scrigno d’oro ad astuccio di bigiotteria. Impossibile confermare il mestiere come simbolo di coerenza sociale, se esso per primo si mostra esposto alla discontinuità, alla sospensione, alla dislocazione. Ed è in questo contesto che l’uso del verbo «essere» riferito al lavoro ha finito per perdere efficacia, uscendo dal nostro vocabolario per difficilmente rientrarci. D’altra parte come poteva la parola «lavoro» salvarsi dal discredito, davanti allo spettacolo quotidiano di storiche aziende spartite come merce in un risiko fra quote di azionisti, mentre gli annunci abbondano di artigiani anziani (e qualificati) in cerca di nuovo impiego, se non disponibili perfino a un cambio radicale di mansioni? Superata ormai del tutto la memoria di un lavoro come specchio di identità, si è passati ad aggredire la stessa concezione di «autorealizzazione professionale»: oggigiorno l’individuo cerca più frequentemente se stesso nell’esercizio fisico, nel divertimento ostinato, se non perfino in forme parallele di lavoro «altro» come il volontariato o l’associazionismo. Il raggiungimento di obiettivi, la definizione di una meta ambita, il senso di confronto con i propri limiti sono tutte esperienze migrate fuori dall’ambito lavorativo, cui è sovente rimasto il solo vincolo retributivo. Agli albori del Terzo millennio si lavora solo per garantirsi un guadagno, soddisfare i minimi bisogni vitali e dedicarsi corpo e anima a quella dimensione «altra» che dal mestiere è tenuta nettamente separata.



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